Che cos'è la riabilitazione?
La riabilitazione è un beneficio di legge che ha l’effetto di cancellare completamente gli effetti penali di una condanna.
La riabilitazione, in buona sostanza, consente di terminare la vicenda iniziata con il reato, proseguita con il processo penale e conclusasi con la condanna.
Ai fini della presentazione dell’istanza di riabilitazione è quanto mai utile servirsi dell’opera di un avvocato penalista poiché lo stesso potrà valutare con attenzione la presenza dei presupposti necessari per un accoglimento.
I termini
In generale, per proporre la domanda di riabilitazione, occorre che sia decorso un periodo di tre anni da quando è stata eseguita la pena inflitta con la condanna per la quale si chiede la riabilitazione penale.
Il termine, pertanto, decorre soltanto dal momento in cui la pena è stata integralmente scontata. Ciò significa che se una pena detentiva è stata espiata sino a un determinato giorno, da quel giorno inizia a decorrere il termine per la riabilitazione. Se si è ottenuta la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, occorre che sia stata pronunciata la dichiarazione di estinzione della pena (art. 47, comma 12, legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”).
Si ritiene peraltro che, in questo caso, il termine decorra dal giorno in cui l’affidamento è decorso positivamente. Se la condanna ha inflitto una pena pecuniaria, il termine per la riabilitazione decorre dal giorno in cui la somma di denaro (multa o ammenda) è stata pagata. Se l’interessato ottiene la dichiarazione di estinzione anche della pena pecuniaria, in forza del beneficio di cui all’art. 47, comma 12, legge 354/1975, il termine decorre dalla data dell’ordinanza che concede l’estinzione.
Se l’interessato è stato ritenuto, durante il giudizio, recidivo aggravato (art. 99, capoversi, codice penale) il termine è di otto anni.
Il termine è di dieci anni per chi è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Non può ottenere la riabilitazione chi è sottoposto a misura di sicurezza, finché la misura non è revocata.
Pena non eseguita. Pena sospesa
E’ possibile che la pena inflitta non venga eseguita, ad esempio perché viene condonata da un indulto o per altre cause che ne impediscono l’esecuzione.
In questi casi il termine per la riabilitazione decorre da quando la pena – che non è stata eseguita – si è estinta.
Tuttavia, nel caso di condanna a pena sospesa, il termine per poter chiedere la riabilitazione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza (legge 11 giugno 2004, n. 145, art. 3) e non dal momento il cui il reato si estingue (i termini sono indicati dall’art. 163 c.p.: solitamente cinque anni da quando la sentenza è divenuta definitiva, purché il condannato non abbia commesso un altro reato, salva la previsione di cui al comma 4 dello stesso art. 163 c.p.).
Riabilitazione e altre cause di estinzione degli effetti della condanna
La riabilitazione produce l’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale della condanna.
Esistono altri benefici di analoga portata che vanno applicati per legge. Ciò avviene, in particolare, nel caso di sentenza patteggiata (art. 445, comma 2, c.p.p.) e del decreto penale di condanna (art. 460, comma 5, c.p.p.)
Nelle ipotesi indicate deve trovare applicazione l’effetto estintivo “automatico” del reato e degli effetti penali della condanna a preferenza della riabilitazione, salvo che esista una disposizione che richieda specificamente la riabilitazione o che il condannato indichi un interesse giuridico ad ottenerla (ad esempio la volontà di ottenere la cittadinanza italiana).
Condizioni di ammissibilità della domanda: il pagamento delle spese
Una condizione imprescindibile per ottenere la riabilitazione è aver pagato le spese di giustizia relative al processo che si è concluso con la sentenza per cui si chiede la riabilitazione, nonché le spese del mantenimento in carcere, se c’è stata carcerazione.
Le spese di giustizia non sono dovute nel caso di condanna per i decreti penali successivi al 1° gennaio 2000 (art. 460, comma 5, c.p.p.) e anche nel caso di sentenza patteggiata , ove la pena applicata non superi i due anni (art. 445, comma 1, c.p.p.).
Condizioni di ammissibilità della domanda: il risarcimento del danno
Essenziale è finanche l’adempimento delle obbligazioni civili dipendenti dal reato. Si tratta, in sostanza dei danni causati dal reato che si è commesso.
E’ necessario risarcire il danno anche ove il danneggiato non lo richieda espressamente.
Ove il danneggiato rifiuti di ricevere l’offerta, questa andrà avanzata con le forme del codice civile (“offerta reale”) o, in ogni caso, in forma di offerta di risarcimento seria (quanto all’importo) nonché concreta ed attuale.
Se si ritiene che il condannato si sia prodigato per adempiere al risarcimento del danno, senza tuttavia riuscirci, la riabilitazione può essere concessa comunque, anche se il risarcimento non si è di fatto realizzato. Come visto, tuttavia, non è sufficiente una generica disponibilità manifestata al danneggiato e tanto meno la richiesta di rinunciare al risarcimento.
Il danno va risarcito anche se la sentenza non ha condannato al risarcimento e anche se il danneggiato non si è costituito come parte civile nel processo penale.
Il danno va risarcito anche se l’azione civile è prescritta.
Spetta all’interessato dimostrare il risarcimento o, in alternativa, le iniziative adottate per effettuarlo. L’interessato deve produrre una dichiarazione autentica della persona offesa di aver ricevuto il risarcimento e di essere completamente soddisfatta. Si ritiene sufficiente l’autenticazione del difensore accompagnata dalla copia di un documento di identità della persona offesa. Il Tribunale potrà effettuare opportune verifiche.
L’interessato deve dare dimostrazione di aver fatto il possibile per rintracciare la persona offesa o i suoi eredi. Se non è stato possibile rintracciarli, potrà provvedere a una attività riparatoria, ad esempio versando una somma a associazioni senza scopo di lucro che curano la riduzione di danni analoghi a quello provocato dal reato o curano interessi generali. Ciò, in particolare, quando il reato abbia provocato danni a interessi collettivi, come nel caso di danni ambientali, paesistici, al patrimonio artistico, alla sicurezza nel lavoro, e simili.
Si ricorda che il risarcimento, oltre a essere un parametro autonomo di valutazione ai fini di riabilitazione, è un criterio che concorre alla valutazione della buona condotta.
Se il condannato si trova in condizioni economiche che non gli consentono di provvedere al risarcimento, la riabilitazione può essergli concessa anche se non ha risarcito. Tuttavia, se è in condizioni risarcire parzialmente, è tenuto a farlo. In definitiva, il riabilitando deve fare un serio sforzo per risarcire il danno integralmente o, se non può, almeno parzialmente.
E’ onere dell’interessato offrire al Tribunale le opportune indicazioni circa le sue condizioni economiche.
Per ciò che attiene alle spese di giustizia e di mantenimento in carcere è possibile richiedere, a determinate condizioni, indicate nell’art. 6 del D.P.R. n. 115/2002 la remissione del debito. La remissione del debito non produce effetto sulle obbligazioni civili relative alle restituzioni e al risarcimento del danno provocato dal reato.
La buona condotta
Il requisito fondamentale per ottenere la riabilitazione è la buona condotta.
Per aversi “buona condotta” non basta l’assenza di reati o di pendenze penali nel periodo (tutto il periodo) preso in considerazione per la riabilitazione. Si richiede qualcosa di più.
Chi chiede la riabilitazione deve dare prova di essere pienamente recuperato alla società, mediante un comportamento rispettoso delle leggi e responsabile nell’ambito delle relazioni familiari e sociali.
Il richiedente ha l’interesse a fornire le prove di questo “qualcosa in più” e dovrà almeno indicare come, nel caso concreto, possa essere accertata la sua condotta.
Il Tribunale ai fini di cui sopra richiede informazioni agli organi di Polizia, ma non sempre questi ultimi sanno se l’interessato ha realizzato qualche spontanea attività socialmente utile, se ha dato ad esempio prova di un particolare impegno nel lavoro, nello studio o nella famiglia.
La buona condotta viene presa in considerazione non soltanto nel periodo di tempo minimo richiesto per poter essere ammessi alla riabilitazione, ma anche nel tempo successivo sino alla decisione.
Anche se la commissione di un reato, specie se particolarmente lieve, non è di per sé ostativa alla concessione della riabilitazione. Quanto ai carichi pendenti verrà effettuata una valutazione caso per caso.
Si ricorda, infine, che se la domanda di riabilitazione viene respinta per difetto del requisito della buona condotta, non può essere riproposta prima del decorso di due anni dalla decisione di rigetto.
L’onere di allegazione
Il codice di procedura penale prevede che la documentazione relativa alla riabilitazione sia acquisita dall’ufficio.
Tuttavia l’ufficio può non sempre conosce fatti utili all’accoglimento della domanda, noti all’interessato e che costui può documentare con facilità, con l’aiuto del proprio avvocato penalista di fiducia.
La complessità dell’istruttoria può ritardare i tempi della decisione quando le condanne per le quali si chiede la riabilitazione sono più di una.
L’interessato ha l’onere di indicare i fatti utili alla decisione favorevole che sono noti soltanto a lui (ad es.: se e quando ha risarcito il danno).