Il procedimento penale è caratterizzato da una serie successiva di fasi che hanno origine con la iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del Codice di procedura penale, per poi concludersi, in generale, sempre che il procedimento non si concluda nella fase delle indagini preliminari, con la pronuncia della sentenza. E' obbligatoria l'assistenza di un avvocato penalista, iscritto nell'apposito Albo.
Ma quali sono le caratteristiche principali di ognuna delle fasi in cui si articola il procedimento penale?
Prima di esaminarle è bene compiere una prima distinzione. Già nel titolo di questo contributo abbiamo usato i termini di procedimento penale e di processo penale. Si tratta di sinonimi o dobbiamo fare riferimento a due categorie tra di loro distinte? La risposta corretta è la seconda. Il procedimento penale è infatti una fase precedente al processo penale vero e proprio, e ha origine con l’iscrizione della notizia di reato nel registro delle notizie di reato della Procura della Repubblica ove, nella prospettiva del pubblico ministero, il fatto di reato si è consumato. Con il termine processo penale si deve invece fare riferimento una serie di attività che si concretizzano nella fase successiva alla indagini preliminari, e cioè dal momento il cui il pubblico ministero decide di esercitare la azione penale in una delle sue forme nei confronti dell’indagato, che assume da quel momento la qualifica di imputato nel processo penale. Le fasi successive del processo penale sono quindi la udienza preliminare, ove sia prevista la sua celebrazione, il dibattimento, il giudizio di appello e, infine, il giudizio di legittimità avanti alla Suprema Corte di Cassazione.
L’iscrizione della notizia di reato e l’avvio della fase delle indagini preliminari
Come già anticipato nel paragrafo che precede, il procedimento penale inizia con la iscrizione della notizia di reato, adempimento quest’ultimo tenuto dal pubblico ministero del luogo ove l’ipotesi di reato si ipotizzi essersi consumata.
Il P.M. provvederà all’iscrizione “immediatamente” dopo aver ricevuto o aver acquisito di propria iniziativa la notitia criminis, annotando – oltre alla stessa – anche il nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico. La norma, così come riportata, è stata peraltro di recente modificazione a seguito della recente introduzione della Riforma Cartabia.
Si tenga in considerazione che non esiste un unico registro ai sensi dell’art. 335 c.p.p. ogni Procura della Repubblica, ma quattro diverse tipologie a seconda di ciò che il pubblico ministero deve iscrivere nello stesso:
- registro delle notizie di reato a carico di persone ignote;
- registro delle notizie di reato a carico di persone note;
- registro delle notizie anonime di reato;
- registro degli atti che non costituiscono notizia di reato.
Le indagini preliminari
Con la iscrizione della notizia di reato nel registro di cui al paragrafo che precede si apre la fase del procedimento penale denominata indagini preliminari.
In questa fase il pubblico ministero, con l’ausilio della polizia giudiziaria, svolge le indagini ritenute necessarie per poter verificare l’attendibilità della notizia di reato al fine di stabilire se vi siano o meno i presupposti per una ragionevole previsione di una sentenza di condanna. Anche quest’ultimo parametro è stato oggetto della recente introduzione nel Codice di procedura penale dell’art. 407 bis c.p.p.
Questa fase è coperta da segreto istruttorio. Ciò significa che nessuno, tranne ovviamente chi non sia espressamente autorizzato, può consultare gli atti del procedimento fintanto che il pubblico ministero non decida di notificare all’indagato e al suo difensore, di fiducia o di ufficio, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (o avviso ex art. 415 bis c.p.p.). È da questa notifica che l’indagato potrà avere accesso al fascicolo e concordare con il proprio avvocato penalista la migliore strategia processuale volta all’ottenimento della archiviazione della notizia di reato, evitando quindi il rinvio a giudizio e la successiva fase del processo penale.
In ogni caso, al termine delle indagini preliminari, il pubblico ministero ha davanti a sé una doppia strada. Può, previa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, esercitare l’azione penale nei confronti dell’indagato - che assume a questo punto la qualifica di imputato nel processo penale - oppure chiedere l’archiviazione del procedimento al Giudice per le indagini preliminari.
L’archiviazione e il rinvio a giudizio
Come visto il momento della conclusione delle indagini preliminari è un momento cruciale per la vita del procedimento e per l’evoluzione di quello che sarà il processo penale.
Se infatti il pubblico ministero ritiene non fondata la notizia di reato, può fare una richiesta di archiviazione. Tale richiesta può essere determinata, sulla base del novellato art. 408 c.p.p. a seguito della introduzione della cd Riforma Cartabia, quando “gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca”. L’archiviazione potrà inoltre essere richiesta al Gip da parte del pubblico ministero nei casi di estinzione del reato di mancanza di una condizione di procedibilità della azione penale (si pensi alla mancata proposizione della querela di parte da parte del titolare del bene giuridico protetto dalla norma) ovvero nei casi in cui la pubblica accusa, all’esito delle indagini svolte, ritenga che il fatto non sussista o che non costituisca reato (è quell’ultimo il caso in cui difetta l’elemento soggettivo del reato).
Si tenga conto che di “richiesta” si tratta. Il pubblico ministero non ha il “potere” di archiviazione autonoma - quale diretta conseguenza del principio costituzionale della obbligatorietà della azione penale - ma può solamente farne domanda al giudice per le indagini preliminari. Quest’ultimo, chiamato q questo punto a volgere una propria analisi sulla fondatezza della notitia criminis nonché sulla ragionevole previsione di condanna sulla base degli eventi raccolti nel corso delle indagini preliminari, potrà:
a) accogliere la richiesta di archiviazione formulando il decreto di archiviazione;
b) non accogliere la richiesta richiesta di archiviazione e fissare un’udienza camerale alla presenza - eventuale - delle parti all’esito della quale potrà ordinare al pubblico ministero di svolgere ulteriori indagini, archiviare con ordinanza oppure, da ultimo, ordinare al pubblico ministero la formulazione della imputazione. Si parla, in quest’ultimo caso specifico, di imputazione coatta.
L’opposizione alla richiesta di archiviazione
Di fronte alla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero al Giudice per le indagini preliminari la persona offesa, cioè la vittima del reato, può presentare opposizione, chiedendo così al giudice per le indagini preliminari che le indagini proseguano nei confronti dell’indagato. Il Codice di procedura penale prevede che con l’opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa dal reato chiede la prosecuzione delle indagini preliminari indicando, a pena di inammissibilità, l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova.
In pratica, l’ordinamento giuridico italiano offre alla persona offesa la possibilità di dire la propria sulla determinazione del pubblico ministero e di contestarne la richiesta. Perché tale contestazione abbia effetto, però, occorre che essa sia motivata e che vengano indicate le ulteriori indagini da compiere. L’opposizione all’archiviazione è possibile solamente ad una condizione: l’avviso della richiesta di archiviazione è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione. In altre parole, per poter proporre opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero è necessario che la persona offesa, direttamente nella denuncia/querela oppure in un successivo atto, abbia espressamente chiesto di essere informata nel caso in cui il p.m. si orientasse per l’archiviazione. Solo in questo caso il pubblico ministero è tenuto ad avvertire la vittima della intervenuta richiesta di archiviazione del fascicolo. In caso contrario la persona offesa non si ha diritto a questa comunicazione. Nell’avviso è precisato che, nel termine di venti giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. Fa eccezione a questo principio, e pertanto la persona offesa ha sempre diritto alla notifica della richiesta di archiviazione, quando si procede per i delitti commessi con violenza alla persona e per il reato di furto con strappo o furto in abitazione: in queste ipotesi l’avviso della richiesta di archiviazione è sempre notificato alla persona offesa ed il termine per presentare opposizione è elevata a trenta giorni.
Nel caso in cui la persona offesa, nel termine sopra indicato, proponga opposizione, il Giudice per le indagini preliminari fissa una udienza camerale dandone avviso a quest’ultima al pubblico ministero e all’indagato.
Il giudizio camerale sorto a seguito di opposizione all’archiviazione può avere diversi esiti:
a) il Gip, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il compimento di esse. Al termine delle ulteriori indagini, viene fissata una nuova udienza ove valutare le stesse;
b) il Gip dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione (cosiddetta imputazione coatta). Entro due giorni dalla formulazione dell’imputazione, il giudice fissa con decreto l’udienza preliminare;
c) il Gip dispone definitivamente l’archiviazione della notizia di reato se ritiene che le indagini non possano proseguire utilmente.
Il rinvio a giudizio
Se al termine delle indagini preliminari il pubblico ministero ritiene che vi siano degli elementi che consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna trasmette al Giudice dell’udienza preliminare - previa notifica all’indagato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari - la richiesta di rinvio a giudizio.
Con questo ultimo atto, in buona sostanza, il pubblico ministero domanda al giudice dell’udienza preliminare di sottoporre a processo penale l’indagato che, proprio in virtù di questa richiesta, che sostanzia l’esercizio della azione penale, assume ora la vesta di imputato nel processo penale.
Di fatto la richiesta di rinvio a giudizio si sostanzia nella presentazione dell’atto alla cancelleria del giudice dell’udienza preliminare il quale, ricevuto lo stesso, provvederà alla notifica alle parti dell’avviso di fissazione della udienza preliminare consentente, in allegato la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero.
Da ultimo si segnala che la richiesta di rinvio a giudizio contiene, tra i suoi vari elementi essenziali quello che è di maggiore importanza per un effettivo esercizio del diritto di difesa: l’imputazione. Si tratta di un elemento fondamentale in quanto questo è il momento in cui il pubblico ministero è chiamato a circoscrivere in maniera “chiara e precisa” l’addebito e quindi l’ipotesi di reato ascritto all’imputato che diverrà l’oggetto del processo penale nella successiva fase della udienza preliminare ed eventualmente, nell’ipotesi in cui il processo non si arresti in quest’ultima fase con una sentenza di non luogo a procedere, nel dibattimento.
L’udienza preliminare
La fase successiva al rinvio a giudizio, come appena rammentato, è quella dell’udienza preliminare.
Tale udienza si svolge in camera di consiglio, dinanzi alla presenza delle parti e quindi del pubblico ministero del difensore dell’imputato e dell’imputato, laddove decida di comparire. L’udienza preliminare costituisce un ulteriore “bivio” del procedimento penale.
È infatti in questa sede che l’imputato può scegliere di definire il giudizio a proprio carico con un cd rito alternativo quale ad esempio il rito abbreviato, il patteggiamento o la sospensione del processo con messa alla prova. Solo nel caso in cui l’imputato non scelga di definire il processo con riti alternativi si celebra l’udienza preliminare. Le parti sono ammesse alla discussione per illustrare le relative ragioni sulla base degli elementi raccolti dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari ed eventualmente sulla base degli elementi raccolti dal difensore dell’imputato nelle indagini difensive svolte nell’interesse del proprio assistito imputato. Sempre in udienza preliminare deve essere eventualmente esercitato il diritto del danneggiato dal reato alla costituzione di parte civile, volta all’ottenimento del risarcimento del danno in sede penalistica, in luogo della sua sede naturale e cioè il processo civile.
L’esito della udienza preliminare, al termine della discussione della parti, può essere duplice:
- pronuncia da parte del Gup della sentenza di non luogo a procedere, se ritiene che “sussista una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa” ovvero nei casi in cui, ex art. 425 co. 3 c.p.p., il giudice ritenga che “gli elementi acquisiti - nel corso delle indagini preliminari - non consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna”.
- decreto che dispone il giudizio, se ritiene che l’ipotesi di accusa sia fondata. Nel caso in cui il Gup pronunci il decreto che dispone il giudizio verrà contestualmente fissata l’udienza dibattimentale avanti al Tribunale competente, nella sua composizione monocratica o collegiale, a seconda del reato oggetto della contestazione formula dal pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio.
Un’ultima precisazione è però doverosa con riguardo alla celebrazione della udienza preliminare. La celebrazione della stessa non è sempre prevista. Nel caso di contestazione di reati considerati di minore gravità - quali quelli di natura contravvenzionale o nei casi di delitti puniti con la pena della reclusione entro i 4 anni - il procedimento è diverso. In questa ultima ipotesi, infatti, l’esercizio della azione penale da parte del pubblico ministero non avviene con la richiesta di rinvio a giudizio e la successiva fissazione della udienza preliminare ma mediante un atto diverso denominato citazione diretta a giudizio. In questo caso l’imputato verrà direttamente citato dal pubblico ministero avanti al giudice del dibattimento, avanti al Tribunale monocratico competente.
I riti alternativi
Con il termine “rito alternativo” ci si riferisce, ad una facoltà che è ammessa all’imputato di definire il processo a suo carico mediante una forma diversa rispetto a quella ordinaria che prevede la celebrazione del dibattimento.
Ci si riferisce al cd patteggiamento, alla oblazione che comporta la estinzione del reato, alla sospensione del processo con messa alla prova e al rito abbreviato. In altri casi, al ricorrere di alcuni presupposti, è il pubblico ministero che può optare per una “strada diversa” rispetto a quella della celebrazione della udienza preliminare e del successivo dibattimento . Ci si riferisce alla ipotesi in cui provveda all’esercizio della azione panel mediate notifica del decreto di giudizio immediato, alle ipotesi in cui proceda nei confronti dell’imputato con il giudizio direttissimo nonché, da ultimo, nell’ipotesi in cui eserciti la azione penale mediante Decreto penale di condanna. In ogni caso, in queste ultime ipotesi, all’imputato è sempre garantito, in forme diverse a seconda della scelta effettuata dalla pubblica accusa, il diritto di difesa mediante la instaurazione del contraddittorio.
Il dibattimento
La fase del dibattimento è quella del processo penale vero è proprio.
E’ in questa sede, infatti, che si forma la prova in contraddittorio tra le parti. E’ davanti al giudice del dibattimento che vengono sentiti i testimoni, esaminato eventualmente l’imputato e valutati i documenti prodotti dalle parti. Solo a seguito della chiusura della istruttoria dibattimentale le parti sono ammesse alla discussione in cui illustrano le rispettive conclusioni.
Sentenza e giudicato penale
Esaurita la fase della discussione il Tribunale (nella sua composizione monocratica o collegiale) pronuncia la sentenza e cioè il provvedimento giurisdizionale con il quale viene definito il processo. La sentenza può essere di condanna o di proscioglimento dell’imputato. La stessa non è immediatamente esecutiva e, quindi, può essere impugnata.
L’impugnazione della sentenza apre un’altra fase del processo o, come si usa dire, un altro grado di giudizio, che si svolge davanti ad un giudice diverso (giudice dell’impugnazione). Per il giudizio di secondo grado il giudice dell’impugnazione è la Corte d’Appello.
Con il termine giudicato penale - o cosa giudicata - ci si riferisce invece ad un provvedimento giurisdizionale diventato irrevocabile. Ciò si verifica nel caso in cui il provvedimento non può più essere soggetto ai mezzi di impugnazione ordinari (appello o ricorso per Cassazione) o perché siano già decorsi i termini per impugnare o perché siano già stati esperiti i mezzi d’impugnazione previsti.