Con la riforma Cartabia il Legislatore ha rilanciato l’istituto delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi introdotte con la L. 689 del 1981, seppur connotate da una nobilissima ratio, ossia quella di evitare l’effetto di “criminalizzazione” del condannato a seguito di permanenze di breve durata all’interno delle carceri, sono state completamente scavalcate sia dalle misure alternative alla detenzione, previste dall’ordinamento penitenziario, che dall’istituto della sospensione condizionale della pena, regolato dall’art. 163 c.p.
L’obiettivo delle nuove pene sostitutive – trattandosi di uno strumento lasciato alla discrezionalità del giudice di cognizione – è proprio quello di renderle più appetibili rispetto alle misure alternative e alla sospensione condizionale
Per raggiungere questo obiettivo, è stato inserito nel codice penale l’art. 20 bis, il quale, al comma primo, si limita ad elencare le nuove pene sostitutive ovvero la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria.
Ognuna di queste pene è accompagnata dall’aggettivo “sostitutivo/a” proprio per evitare confusione con altri istituti presenti nel nostro ordinamento e ugualmente denominati.
Abrogati gli istituti della semi-detenzione e della libertà controllata.
Nel comma secondo dell’art. 20 bis, invece, si realizza una sorte di “tabella di sostituzione” della pena detentiva attraverso la suddivisione in tre blocchi: la novità principale è la notevole estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto attraverso l’innalzamento del limite di pena che può essere oggetto di sostituzione, oggi stabilito in quattro anni.
Ulteriore novità deriva dalla possibilità di sostituire la pena detentiva con la pena pecuniaria in presenza di una condanna pari ad un anno di pena detentiva, rispetto ai sei mesi previsti dalla vecchia normativa.
Parallelamente all’introduzione dell’art. 20 bis, c.p., il Legislatore ha implementato il contenuto della L. 689/1981, dove si trovano delineati i caratteri essenziali delle singole sanzioni sostitutive. È dall’analisi di quest’ultimo testo che dunque deve proseguire la disamina dell’istituto.
La semilibertà sostitutiva
La semilibertà sostitutiva è regolata dall’art. 55 della L. 689/81 nonché, per quanto compatibile, dalla legge 354/75. Si tratta di una pena dal contenuto maggiormente afflittivo rispetto alle altre pene sostitutive, in quanto nella sua esecuzione, l’ambiente carcerario mantiene la centralità.
Nello specifico, si devono alternare, nell’arco della giornata, sia le attività lavorative, di formazione o di studio da svolgersi all’esterno, sia almeno otto ore da trascorrere – obbligatoriamente – all’interno dell’istituto carcerario, solitamente coincidenti con l’orario notturno.
La sostituzione con la semilibertà può avere luogo quando la condanna – o la richiesta di applicazione pena – è contenuta nel limite di quattro anni di pena.
Fondamentale, in questo ambito, la collaborazione tra l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna e il magistrato di sorveglianza, i quali devono, rispettivamente, predisporre e approvare il programma di trattamento a cui deve essere sottoposto il soggetto semilibero, tenendo conto del fondamentale principio di territorialità, secondo cui lo svolgimento della pena deve effettuarsi in un luogo il più possibile vicino agli affetti dell’interessato o, in generale, nei pressi del centro di riferimento sociale di quest’ultimo.
Non emergono profili di criticità né per il sistema di ragguaglio, né per la durata della pena sostituita. Nel primo caso il legislatore specifica che: “un giorno di pena detentiva equivale ad un giorno di semilibertà”, pertanto, anche per quanto riguarda la durata complessiva della pena si prende come punto di riferimento il periodo di detenzione stabilito ab origine dal giudice (art. 57).
L’art. 72 della L. 689/1981 sancisce che l’assenza ingiustificata dall’istituto carcerario per più di dodici ore integra il reato di evasione e la conseguente revoca della misura, salvo che il fatto sia connotato da lieve entità. Nell’ultimo comma, inoltre, è previsto che in caso di delitto non colposo commesso dall’interessato in fase di esecuzione della semilibertà sia disposta la revoca della pena sostituita, nonché la riconversione della stessa in pena detentiva. Tale norma assume validità per tutte le pene sostitutive diverse dalla pena pecuniaria.
La detenzione domiciliare sostitutiva
In alternativa alla semilibertà sostitutiva, il giudice di cognizione può applicare la detenzione domiciliare sostitutiva prevista dall’art. 56 della L. 689/81. Anche in questo caso la disciplina mutua, per quanto possibile, dalle disposizioni previste per l’omologo istituto previsto dalla legge di Ordinamento Penitenziario, sebbene in questo caso sia prevista anche la possibilità di utilizzare il cd. braccialetto elettronico.
Al fine di poter sostituire la pena con la detenzione domiciliare sostitutiva è inevitabile la preventiva valutazione sull’idoneità del domicilio.
Nel caso in cui questo manchi, o venga meno in corso di esecuzione, la norma ammette la possibilità di poter fruire di apposite comunità.
Anche in questo caso, per quanto riguarda il meccanismo di ragguaglio vale il principio per cui un giorno di pena detentiva equivale ad un giorno di detenzione domiciliare sostitutiva.
Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo
Se la pena detentiva inflitta dal giudice rientra nel limite dei tre anni la sostituzione è ammessa anche con il lavoro di pubblica utilità. Questa nuova tipologia di pena, connotata da una spiccata funzione rieducativa, consiste nella possibilità di svolgere, a titolo gratuito, attività lavorative al servizio del territorio di residenza per la durata di non meno di sei ore e non più di quindici a settimana, salvo diversamente previsto dal giudice.
Il lavoro di pubblica utilità è equiparato, sotto il profilo degli effetti giuridici, alla pena detentiva.
L’articolo 56 bis della L. 689/1981 prevede che “un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro”, pertanto il ragguaglio con la pena detentiva è connotato da un passaggio ulteriore. In prima battuta il giudice dovrà convertire gli anni o i mesi di pena detentiva in giorni e poi moltiplicare per due.
L’art. 72, co. II, della L. 689/1981 definisce le modalità di revoca del lavoro di pubblica utilità sostitutivo: non recarsi presso il luogo di lavoro oppure abbandonare l’impegno preso in assenza di giustificato motivo, non solo è causa di revoca della pena sostituita ma comporta anche profili di responsabilità penale, ai sensi dell’articolo 56 del decreto legislativo n. 274/2000.
La pena pecuniaria sostitutiva
La pena pecuniaria sostitutiva, unica nel suo genere rispetto alle pene sostitutive analizzate in precedenza, è regolata dall’art. 56 quater della L. 689/1981.
Il quantum di pena è definito tramite il meccanismo dei tassi giornalieri, attualmente utilizzato nel nostro ordinamento solo in materia di responsabilità da reato degli enti e oggi esteso anche alla pena pecuniaria sostitutiva. In particolare, il giudice individua il valore giornaliero che non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro, al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Inoltre, è comunque possibile una sorta di individualizzazione della pena pecuniaria, atteso che lo stesso art. 56 quater sancisce che il giudice deve tenere conto “delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato e del suo nucleo familiare”.
Peraltro, è comunque prevista la possibilità di usufruire del pagamento rateale (da 3 a 30 rate mensili) disposto dal giudice secondo i canoni previsti dall’art. 133 ter c.p.
Il mancato pagamento anche di sola una rata determina la revoca e la successiva conversione con altra pena sostitutiva, in particolare con la detenzione domiciliare o la semilibertà. Se il mancato pagamento, invece, è dovuto a fattori legati alla scarsità delle risorse economiche viene comunque disposta la revoca ma può essere eseguita la sostituzione con lavoro di pubblica utilità.
Potere discrezionale del giudice e consenso dell’imputato
Ai fini dell’applicazione delle pene sostitutive è centrale la valutazione discrezionale del giudice. Una volta esclusa la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena, il giudice – su richiesta di parte - deve verificare la sussistenza dei requisiti oggettivi, ossia dei limiti di pena, nonché l’assenza di condizioni soggettive ostative all’applicazione della sostituzione, regolate ex art. 59.
Per quanto riguarda la scelta tra le pene sostitutive, il giudice si deve ispirare al principio del minor sacrificio della libertà personale, della finalità rieducativa e della prevenzione in termini di recidiva. In particolare, per valutare l’idoneità della sostituzione al caso concreto, il giudice dovrà tenere conto delle condizioni personali del condannato, come ad esempio l’età o lo stato di salute.
Qualora il giudice ritenga impossibile effettuare la sostituzione sarà tenuto a motivare in maniera adeguata il diniego.
Tutte queste valutazioni devono essere coordinate con il consenso dell’imputato: una peculiarità introdotta dal Legislatore. Infatti, solo in presenza di assenso, il giudice potrà definire concretamente la sostituzione della pena in udienza, salvo il caso in cui sia opportuno sospendere il processo – per non più di sessanta giorni – al fine di raccogliere ulteriori informazioni sulle condizioni socio - economiche dell’interessato.
Conclusioni
In sostanza, con la cd. Riforma Cartabia è stata creata una nuova categoria di pene che si affianca a quelle principali già esistenti – ergastolo, reclusione, arresto, multa e ammenda – esattamente com’è accaduto con le pene previste per i reati di competenza del giudice di pace.
Tuttavia, per evitare di ripetere gli errori del passato, è stato espressamente previsto il divieto di concessione della sospensione condizionale della pena o delle misure alternative in presenza di sostituzione della pena. Questa imposizione normativa è accentuata anche dalle scelte effettuate in caso di (ri)conversione dalla pena sostituita in pena detentiva; infatti, il Legislatore ha sancito l’accesso alle misure alternative solo a condizione che venga espiata almeno metà della pena detentiva.
La sorte di questo nuovo istituto (pene sostitutive) rimane dunque nelle mani del giudice di cognizione; pertanto, per effettuare una valutazione sulla validità della riforma non resta che attendere il riscontro delle aule di giustizia.